Non sono un esperto di diritto internazionale, né uno studioso dell’Olocausto o dei genocidi. Sono un dilettante di politica, con uno sguardo inevitabilmente attraversato dall’ideologia – uno sguardo che però cerca, con fatica e spesso invano, di squarciare il velo che avvolge la realtà.
Mi sento vicino all’antica idea cinese di essere tutti sotto lo stesso cielo (天下, Tiānxià): una visione che riconosce l’unità profonda che lega ogni essere umano, disperso su questa terra condivisa. Anche se il mio sguardo è fragile e imperfetto, è uno sguardo che si apre al mondo intero.
Secondo la filosofia del Tiānxià, essere sotto lo stesso cielo non significa essere uguali, ma sapere di essere insieme. Significa condividere un destino comune, riconoscersi parte della stessa umanità. Significa pensarsi come membri di un’unica famiglia umana. Da questa consapevolezza nasce l’impegno di tutta una vita: una ricerca – personale e collettiva – di una libertà che sia per tutti.
Tutti o nessuno – ho cantato spesso questo verso di Brecht.
Credo che Israele stia commettendo un genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. Questa convinzione nasce dalla mia esperienza: da autodidatta, da osservatore, da essere umano. Il mio sguardo, pur difettoso, non è stato accecato dalla propaganda. Fin dall’inizio erano evidenti i crimini di guerra e contro l’umanità. Con il passare del tempo, quegli atti si sono trasformati in qualcosa di ancora più terribile: in genocidio.
L’intento genocida è stato esplicitato dalle stesse autorità israeliane: Gaza da ridurre in macerie, i suoi abitanti da espellere. Invocazioni bibliche alla distruzione dei palestinesi – disumanizzati come “animali umani” – e richiami espliciti all’annientamento totale, alla cancellazione di Gaza dalla faccia della terra. Ogni parola, ogni dichiarazione pubblica, suona come il preludio a una catastrofe pianificata.
Ma sono le azioni dell’esercito israeliano a parlare con maggiore crudezza:
- Distruzione sistematica non solo delle abitazioni civili, ma anche delle infrastrutture vitali: ospedali, scuole, università, moschee, edifici governativi, siti storici, impianti idrici, terreni agricoli, parchi.
- Obiettivo esplicito di rendere Gaza inabitabile: costringere la popolazione a fuggire o sfiancarla con privazioni disumane.
Il termine genocidio non è solo un’accusa morale: ha una definizione precisa. Si tratta di atti commessi con l’intento di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo umano, impedendogli di sopravvivere come entità politica, sociale o culturale. E ciò che resta oggi della Striscia di Gaza corrisponde tragicamente a questa definizione: un luogo senza futuro per la maggior parte dei palestinesi che lo abitavano. Nessuno sguardo onesto, anche se incerto, può ignorarlo.
Dovremmo riflettere sulle conseguenze di questa guerra. Forse le radici profonde dell’orgoglio palestinese sopravvivranno tra le macerie, ma quale vita resta possibile per quel popolo? Israele non si ritirerà: ha già costruito “corridoi” interni alla Striscia, considerati strategici per la sua “sicurezza”. È una scelta che prefigura un’unica possibilità: l’occupazione permanente. E lo stesso avviene, con meno attenzione mediatica, in Cisgiordania. Il comportamento stesso di Israele disegna il futuro: un regime di apartheid senza fine.
Ripensando al Tiānxià, mi è tornata in mente una frase di Gayatri Spivak, che definisce la responsabilità etica come «un fardello dell’essere umani». Per Spivak, essere umani significa essere chiamati a rispondere all’altro, anche quando questa risposta è difficile, scomoda, talvolta impossibile da spiegare con razionalità.
Non credo che quel “fardello” debba essere inteso in senso negativo, ma piuttosto come un compito necessario, un peso che ci definisce. Non possiamo sottrarci alla relazione con l’altro, soprattutto con chi è oppresso o ridotto al silenzio. In breve, per Spivak la responsabilità etica è ciò che ci rende autenticamente umani.
Le implicazioni morali e storiche di ciò che accade a Gaza sono immense. Ogni essere umano dovrebbe sentire l’urgenza di interrogarsi: su ciò che questo genocidio dice della nostra epoca, dei nostri valori, delle nostre democrazie. Perché quel crimine – se taciuto, giustificato o ignorato – ci trascina tutti verso un abisso senza ritorno.
Immagine: Laila Shawa, Democracy in Red.