I
non ho anima,
ho solo questa lingua ingorda
e questo corpo goffo
la mia entrata in scena
è una gaffe
II
ho molto da dire
e pochi mezzi
la mia è una forma
di perversione, un modo deviato
di farmi a pezzi
III
non ho vocazione, non ho talento
non ho successo
mi spinge sulla scena
un’unica disperazione
IV
la scelta del palco
è per così dire un’allegra sfida,
non luogo di verità,
ma di poesia
è una derisoria epifania
V
lo stile grottesco, il buffonesco
legato a una classe sociale
inferiore
lo scettro di Follia in mano
un povero eversore,
però si tratta di me stesso,
dell’ultimo moicano
VI
sognavo di riuscire a salvare l’universo
a infondere vita nuova
si finisce così per infatuarsi
dell’assurdo
si finisce nudi, schiavi
di un desiderio bastardo
parodia di un ultimo
comunardo
VII
per lo spettacolo, per l’arte sacra
nessun rimpianto
porto a spasso il marchio
dell’infamia
in locali malfamati, in circoli privati
in teatrini di periferia
m’inebrio di improbabili
prodezze
non esiste nulla di più caro
delle mie stranezze
VIII
goffo, sciancato, mi arrampico
sul palco come scimmia
di baraccone
spicco il volo per civetteria
sono attore grottesco
per goliardia
IX
mi basta poco, un costume
una maschera e del vino
non ho virtù, non ho morale
re assassino o schiavo
me la godo del mio
carnevale
X
in ogni caso, la mia sfida
è pur sempre autentica
slancio del corpo, corpo volgare
la mia sfida in piena luce
è dialettica
il corpo, dunque, è la mia gloria
senza splendore
qualcosa di meno che un artista
ma con grande ardore
carnale
XI
non il bello, non il vero
ogni travestimento
è derisorio
non il sublime, non l’incanto
sfuggo con sdegno
il consolatorio
non il sociale, non il civile
alla luce splende
il mio repertorio
degradato
XII
critici e belle signorine
si tengono lontani dal mio palco
ripugnante, mi guardano
con disgusto
io mi vanto del distacco,
chiudo la porta e li guardo
bruciare, il loro dolore
è il mio trambusto
io esisto
XIII
la dimensione che questa scena esalta
è la vertigine della morte
la morte è il contenuto, è la verità
di questo gioco gratuito
mi espongo allo scherno, alla derisione
per morire più tardi
per morire a me stesso
XIV
il corpo è verbale, è linguaggio
l’imperfezione è fragilità
lo slancio in volo è afasia,
apoteosi senza lirica
è poesia epica, è stravaganza
è l’eccesso che danza
oltre i confini della delusoria
realtà
XV
il veemente rifiuto della contingenza
imperfetta, l’illusorio slancio
della propria vana
insipienza
non è un trionfo, è piuttosto
un tonfo nell’assenza
XVI
escluso e separato dallo spettacolo,
resto prigioniero
cattivo Amleto, e ancor più ridicolo
come Calibano, non abbandono
il palcoscenico, il luogo
della figurazione metaforica
d’una rivolta che non avrà
mai fine
XVII
la mia motilità sgangherata
cerca la perfezione
nell’insuccesso cerco l’atto
della correzione
il corpo sboccia, ugualmente,
nell’abiezione
XVIII
un’autentica, e stupida,
solitudine narcisistica
il mio desiderio è un desiderio
che è sufficiente a se stesso,
è il desiderio idiota
d’un idiota che con clamore e furia
non vuole significare
niente
XIX
separato dalla vita reale,
barbaro
modesto attore di periferia,
straniero
dietro e oltre le maschere sociali,
estraneo
privo di tesi e di filosofia,
crudele
senza personaggi e senza testo,
beffardo
mascherato da se stesso,
selvaggio
non sono nient’altro che un buffone,
sono l’eterno cambio di direzione,
il gesto mancato,
sono:
XX
istrione, non attore